5 cose che non abbiamo imparato in 30 anni di antiberlusconismo

Claudio Riccio
5 min readJun 13, 2023

--

Erano le 6 del mattino quando il bus partito a mezzanotte dall’Estramurale Capruzzi di Bari arrivava ad Anagnina. Scendevamo dal bus tutti insieme, c’era chi aveva dormito e faticava a svegliarsi e chi aveva passato la notte sveglio a far casino. Dal grande portabagagli sotto il bus tiravamo fuori bandiere e striscioni e scendevamo nella metro di quella città enorme che poi è diventata la mia casa.

Mentre ci radunavamo in quel piazzale nella periferia romana, vedevamo arrivare gruppi da tante altre città del sud (quelli del nord scendevano a Ponte Mammolo credo) e di colpo qualcuno iniziava a intonare Bella Ciao, i vagoni della metro si riempivano di bandiere e cori e arrivavamo in piazza della Repubblica pronti a manifestare.

Silvio Berlusconi per me e per tanti come me è stato anzitutto questo: l’avversario da fronteggiare, la summa di tutto ciò che combattevamo, il mostro finale del videogame. “Chi non salta Berlusconi è!” cantavamo in coro in decine, centinaia di migliaia.

Come in una battaglia campale di Game of Thrones a volte ci si ritrovava tutti lì, nella stessa piazza.
C’erano gli anarchici e i padri comboniani, i disobbedienti e il sindacato confederale, i diessini e i rifondaroli, i girotondini e i centri sociali, i pacifisti e gli studenti.

Avere un arcinemico ti portava a essere lì, a esserci sempre o quasi (mai fatto un girotondo), a condividere grandi adunate pacifiche e piazze conflittuali. A volte siamo stati letteralmente milioni, come il 23 marzo 2002 contro l’abolizione dell’articolo 18 o il 15 febbraio 2003 contro la guerra in Iraq. Altre volte eravamo 4 gatti. Alcune volte la repressione è stata durissima, altre volte è filato tutto liscio. Alcune volte Repubblica ci metteva in prima pagina, altre volte faceva finta non fosse successo nulla. Molte figure cambiavano. Ma dall’altra parte c’era quasi sempre lui.

Mentre scrivo siamo sommersi di una insostenibile agiografia dello statista Silvio Berlusconi e forse è utile spegnere la TV e riflettere su quel che avremmo dovuto imparare in 30 anni di Berlusconismo e di fumose assemblee in cui si organizzavano quelle grandi manifestazioni.

Provo a dire alcune cose che ho voglia di fissare per iscritto, alcune lezioni mai imparate nei troppi anni di antiberlusconismo.

#1 Chi polarizza lo scontro vince: siamo nel tempo delle democrazie agonistiche, in cui il conflitto può anche sparire dalle piazze, ma permea ogni ambito della rappresentazione politica. Trump, Bolsonaro e tutta la banda di populisti di estrema destra ci sono arrivati anni dopo: chi polarizza lo scontro si rafforza e vince. Le elezioni non si vincono al centro. Nel momento in cui si è consumato il divorzio tra capitalismo e democrazia, le istituzioni non sono in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini, ma solo agli interessi di pochi. L’esito è che il terreno di gioco politico è intriso di rabbia e disillusione.

#2 Sì alle convergenze, no alle sommatorie: anni di ammucchiate antiberlusconiane, senza alcuna strategia condivisa hanno portato a svuotare di senso moltissimi dei movimenti conflittuali nati in quegli anni. Paradossalmente mentre si ripetevano costantemente le grandi adunate di tutti vs Silvio si ampliavano le divisioni. È possibile unità ampia senza annacquare le battaglie? Sì. Oggi continuiamo a definire le identità dei nostri mondi per negazione e differenza dagli altri, definendo traditore chiunque cerchi convergenze e settario chiunque ponga condizioni e obiettivi. Continuiamo così, facciamoci del male.

#3 Il racconto pesa più della verità: sarebbe superfluo ribadire la relazione tra potere mediatico e potere politico di Silvio Berlusconi, ma oggi in Italia e in tutto il mondo resta ancora quello il tema. Se il vento della storia soffia nelle vele della destra ci sono senza dubbio fattori socioeconomici che alimentano individualismo e guerra tra poveri, favorendo la lotta di classe dall’alto, ma il magistrale racconto berlusconiano a reti unificate, innestato su una società plasmata dalla tv commerciale ha convinto profondamente milioni di persone e continua a funzionare. Dalla parte opposta sarebbe perfino imbarazzante citare esempi dell’inconsistente iniziativa comunicativa di partiti, sindacati e movimenti della nostra parte.

#4 Il corpo e la storia di una vita sono determinanti. Il celebre fascicolo “Una storia italiana” inviato da Berlusconi a milioni di italiani fu l’esempio più eclatante della coincidenza tra corpo e programma politico. Per tutti questi anni la sinistra ha scelto di ignorare questo tema e di utilizzare le biografie solo come figurine per completare un album di famiglia in cui il tema della credibilità delle leadership veniva totalmente eluso. Contavano solo fedeltà, filiera e continuità dei seggi da conservare. Nella società dello spettacolo e della performance la sinistra ha dato solo un costante pessimo spettacolo di se stessa proponendo una dopo l’altra improponibili candidature di vertice consumate e senza fiato.

#5 Carpe diem: non si possono perdere le finestre di opportunità. L’accumulo di fenomeni sociali modifica la società profondamente, ma i suoi frutti si possono cogliere solo per pochi istanti. Al termine del ciclo di lotte 2008/2011, nel punto più basso di consenso del Berlusconismo, dopo anni di grandi mobilitazioni studentesche, il referendum sull’acqua pubblica e il nucleare vinto a maggioranza assoluta, le elezioni dei sindaci “arancioni”, l’occupazione del Teatro Valle e molti altri movimenti in difesa dei beni comuni c’era lo spazio per un’aggregazione politica dal basso analoga a quello che pochi anni dopo con la nascita di Podemos in Spagna ha cambiato il quadro politico iberico. L’idiozia minoritaria di alcuni, la nostra mancanza di coraggio e l’autoreferenzialità di altri unitamente alla pesante ipoteca posta da Napolitano con l’imposizione del governo Monti, portò alla chiusura di quella finestra di opportunità. I sentimenti di rabbia e la domanda di cambiamento che covavano in milioni di persone vennerò raccolte e storpiate da Beppe Grillo che si prese a spinta quello spazio approfittando di tutte le nostre inadeguatezze. Una epocale occasione persa.

Ci sono molti altri insegnamenti, e riflessioni di questi trent’anni, ma il tempo per scrivere è poco e ho voglia di scrivere di getto.

Silvio Berlusconi è morto, e quando in ufficio questa mattina un mio collega ha alzato la testa dal monitor e ce lo ha detto ho passato un po’ di tempo a pensare a tutte le volte che ne avevamo parlato di questo momento. “io vado a pisciare sulla tomba”, “dai! Sarà in galera”, “gli avranno dedicato una piazza” “io voglio sconfiggerlo politicamente”… ciascuno diceva la sua, magari davanti a una pessima birra del discount.

Non me lo immaginavo così questo momento. Io che — nonostante una buona dose di volontà — non sono mai stato un ottimista, ma un pessimista della ragione, non mi immaginavo che la sconfitta della nostra parte potesse essere così clamorosa da vivere un momento come quello della morte di Silvio Berlusconi e della conseguente chiusura di un’epoca in questo modo.
L’agiografia di Berlusconi a reti unificate, senza un accenno di voce critica che non sia qualche vecchio personaggio ormai folkloristico.
Lo smantellamento del welfare state, gli attacchi all’istruzione pubblica e ai diritti dei lavoratori spariscono, oscurati dai successi calcistici e dallo sforzo di modernizzazione.
Lo sfruttamento della prostituzione diventa nello studio di Vespa “qualche avventura sentimentale”; le domande senza risposta sull’origine dei suoi capitali ovviamente non trovano spazio.
La repressione di Genova ordinata dal suo governo dimenticata, mentre altri vertici internazionali vengono esaltati come capolavori diplomatici.
Il tutto con Giorgia Meloni, all’epoca presidente di Azione Giovani, saldamente al governo del Paese.

La sconfitta è profonda. La vittoria di Berlusconi innegabile.

Le piazze dell’opposizione sono vuote da anni e probabilmente porteranno anche il nome di Silvio Berlusconi.

Sarebbe bello vederle tornare a riempirsi.

--

--

Claudio Riccio
Claudio Riccio

Written by Claudio Riccio

Attivista ● Creative strategist

No responses yet